COVID-19, aritmie cardiache ed infiammazione

Giovedì, 23 Aprile, 2020 - 12:15
Capecchi: «Pazienti con coronavirus a rischio di sviluppare aritmie cardiache potenzialmente mortali»
proff. Capecchi e Lazzerini

COVID-19, aritmie cardiache ed infiammazione: pubblicato su Circulation uno studio dei proff. Pier Leopoldo Capecchi e Pietro Enea Lazzerini che ne sottolinea il potenziale legame

Lo studio è stato condotto in collaborazione tra l’AOU Senese ed un gruppo di ricerca della New York University

 

I pazienti con infezione da coronavirus sono esposti ad un aumentato rischio di sviluppare aritmie cardiache. È quanto è stato sottolineato uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica americana “Circulation”, a firma del professor Pier Leopoldo Capecchi, direttore UOC Medicina Interna e dell’Urgenza insieme al professor Pietro Enea Lazzerini, in collaborazione tra l’Azienda ospedaliero-universitaria Senese ed un gruppo di ricerca della New York University. «I pazienti con infezione da coronavirus – afferma il professor Capecchi - sono esposti ad un aumentato rischio di sviluppare aritmie cardiache potenzialmente mortali. Attualmente si ritiene che ciò sia in parte legato ad un danno miocardico da invasione diretta virale e dalla scadente ossigenazione dovuta all’interessamento polmonare, ed in parte all’utilizzo di alcuni farmaci con azione antivirale che interferiscono con l’attività elettrica del cuore».

 

«In collaborazione con un gruppo di ricerca della New York University – aggiunge il professor Lazzerini - abbiamo documentato il ruolo dell’infiammazione nel promuovere il rischio aritmico, sia agendo direttamente sulla attività elettrica del cuore, sia indirettamente potenziando l’effetto di farmaci, alcuni dei quali utilizzati nel trattamento dell’infezione da coronavirus, anch’essi in grado di favorire l’insorgenza di aritmie». «Dal momento che l’infezione grave da coronavirus è caratterizzata da una vera e propria “tempesta infiammatoria” – conclude Capecchi - abbiamo suggerito di considerare lo stato infiammatorio di per sé come un fattore aggiuntivo di rischio aritmico nei pazienti affetti da infezione da coronavirus e di valorizzare, in tal senso, il potenziale effetto protettivo svolto da farmaci in grado di bloccare specifiche molecole infiammatorie».